Mostra presso la Collezione
Giancarlo e Danna Olgiati, in Lugano, dal 24 settembre
2023 al 14 gennaio 2024, che mette in evidenza la
straordinaria affinità elettiva che unì i due grandi
maestri dell’arte italiana del Novecento: La luce.
La Collezione Giancarlo Danna Olgiati, aperta al pubblico nello spazio
espositivo adiacente al centro culturale LAC, espone oltre duecento
opere di grande rilievo artistico che vengono selezionate all’interno
della loro vasta Collezione a seconda degli allestimenti. La Collezione,
tra le più significative per quanto riguarda l’arte italiana dal primo
Novecento ad oggi, i Nouveaux Réalistes e l’arte contemporanea
internazionale, viene riproposta due volte l’anno con allestimenti
sempre diversi alternati a mostre temporanee dedicate ad approfondimenti
dell’opera di artisti già presenti nella Collezione. Va sottolineato che
in questa nuova apertura autunnale verrà dato particolare rilievo agli
artisti dell’Arte Povera e ai maestri italiani del secondo dopoguerra
come Accardi, Colla, Consagra, De Dominicis, Fontana, Scarpitta, Turcato,
Vedova.
Collezione Giancarlo e Danna Olgiati
Comunicato stampa
La mostra “Dove la luce” è la storia di una
straordinaria affinità elettiva, quella che unì due
grandi maestri dell’arte italiana del Novecento:
Giacomo Balla (1871-1958) e Piero Dorazio
(1927-2005). Come suggerito dal titolo, ispirato ad
una nota poesia di Giuseppe Ungaretti, il
tema del confronto è la luce, quintessenza della
vita, ma anche sfida perenne per gli artisti che con
essa, da sempre, hanno dovuto misurare le proprie
capacità espressive. È un racconto visivo, nato
da un’idea di Danna Battaglia Olgiati e affidato
a 47 capolavori creati attorno a due date: il 1912,
anno in cui nascono le Compenetrazioni iridescenti
di Balla ed il 1960 per le ben note Trame di Dorazio.
“Quasi cinquant’anni passano tra le une e le altre,
eppure ciò che seduce e ancora ci interroga di quel
fenomeno luminoso, di cui queste opere sono
interpreti e tributi, è il mistero che al di là di
ogni verità scientifica sentiamo in tralice
calamitare il nostro sguardo dentro le superfici”
spiega Gabriella Belli, curatrice della mostra.
Le Compenetrazioni iridescenti rappresentano uno dei
capitoli più interessanti dell’esperienza artistica
di Balla, proprio per quel loro presentarsi come
precocissime sperimentazioni astratto-geometriche.
Le opere nascono nel volgere di pochi mesi – tra il
luglio e il dicembre del 1912 – durante un soggiorno
dell’artista a Düsseldorf, ospite nella villa della
famiglia Löwenstein. Invitato a decorare lo studio
della bella casa affacciata sul Reno, Balla dedica
parte del suo tempo a sperimentare, quasi in segreto
(di questi lavori se ne avrà piena coscienza solo
verso gli anni Cinquanta), una nuova idea di
pittura, che nasce certamente dall’osservazione
della natura e dei fenomeni luministici ma che trova
di fatto svolgimento in una pittura di inediti
reticoli a pattern triangolari, che formano sequenze
autonome, articolate in composizioni
astratto-geometriche davvero anticipatrici per
l’epoca in cui Balla le dipinge.
Su fogli di un semplice block-notes l’artista si
esercita sulla possibilità di catturare i misteri
dell’iride e la complessità delle rifrazioni
luminose: con rigore scientifico – matite colorate,
tempera e acquarelli alla mano – disegna un
repertorio di enne possibili varianti di geometrie
triangolari, a nastro o sferiche, di fatto la
rappresentazione dell’“anatomia” della luce. È un
esercizio capace di catturarne “l’invisibile” e
liberare gli atomi finissimi dei timbri
dell’arcobaleno: dal rosso all’arancio, al giallo,
al verde, all’azzurro, all’indaco e violetto.
Le Compenetrazioni iridescenti sono piccoli
capolavori, dipinti su carta, alcuni su tela,
rarissimi per numero e qualità, e,
indiscutibilmente, rappresentano una tale novità
nella ricerca di Balla da meritargli il titolo di
antesignano dell’astrattismo.
In mostra sono esposti oltre venti esemplari,
provenienti da prestigiose collezioni private e
museali, come la Galleria d’arte Moderna di
Torino e il Mart di Trento e Rovereto.
Alcune Compenetrazioni testimoniano il passaggio dai
disegni del taccuino alle maggiori dimensioni: qui
l’esercizio e la sperimentazione confluiscono in una
composizione che vive ancor più di vita autonoma, a
cui è data dignità di quadro anche grazie alle
cornici, spesso disegnate dal pittore.
Tra le opere esposte, preziosissima la cartolina
indirizzata da Balla all’amico e allievo Gino
Galli nel novembre 1912, che attesta la prima
notizia della nuova ricerca sulle Compenetrazioni:
sul recto un tipo di iride a sequenza cromatica in
cui il pattern decisivo è il triangolo, “figura
geometrica che da alcuni secoli viene utilizzata per
descrivere la scomposizione dei fasci luminosi, ma
che in Balla attiva anche uno speciale simbolismo,
non estraneo da argomentazioni ermetiche ed
esoteriche” spiega Gabriella Belli e
precisa, a proposito dell’approccio di Balla nelle
Compenetrazioni: “pur in debito con
l’osservazione della natura – come la critica ha
sempre rilevato – ogni suo esercizio non sarà mai
fredda e calcolata applicazione di teorie
scientifiche, ma piuttosto un affondo nella natura
fino a coglierne i nessi più nascosti e misteriosi”.
Da questo straordinario nucleo di lavori trae
stimolo e suggestione, a quasi cinquant’anni di
distanza, il giovane Piero Dorazio, tra i primi a
comprendere la novità degli studi di Balla. Le sue
grandi tele, note con il titolo Trame e dipinte tra
la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta,
fitte di materia-luce e costruite con linee
incrociate irregolari, ombre e luci che occhieggiano
tra i triangoli del pattern della trama, ribadiscono
quanto la sua sperimentazione sia vicina a quella di
Giacomo Balla.
È una tessitura, quella delle Trame, risultante da
un fitto reticolo di linee-colore verticali,
orizzontali e diagonali, tratti eseguiti con mano
leggera, secondo un registro di colori primari e
complementari nelle combinazioni dell’iride e tra
loro in stretta in successione: creano nell’occhio
la sensazione di una linea, di fatto inesistente
perché frutto di una correzione ottica.
Il ciclo – di cui in mostra sono presenti oltre
venti esemplari, realizzati tra il 1959 e il 1963 –
è ricco di molte varianti e cambiamenti,
principalmente legati al grado di luminosità del
colore, alle interferenze percettive tra fondo e
superficie e, anche, alla relazione spazio-tempo. “Nell’improvviso
“zampillare” di un abbaglio luminoso, che fuoriesce
dagli interstizi che si formano all’incrocio delle
linee, tra filamento e filamento, allo sconfinamento
del triangolo che lì si forma (eloquente vicinanza
al pattern di Balla), si registra nella tessitura di
questi quadri un effetto straordinario, come di
verità rivelata, che si fa strada attraverso la
materia raffinatissima, stesa strato dopo strato”
sottolinea Gabriella Belli.
Molto significativi, in questo senso, quei lavori in
cui il reticolo si spezza, si interrompe, cambia di
netto registro cromatico, come in Time Blind (1963),
o ancora in Tenera mano (1963): qui la “smagliatura”
della trama mostra la struttura interna del quadro
evidenziando la tecnica d’esecuzione e diventa, come
suggerisce Dorazio stesso, luogo di “una
illuminazione imprevista della coscienza, un modo di
visualizzare l’attimo fuggente”.
Tra i diversi punti di contatto tra Dorazio e Balla
è curioso sottolineare che la sperimentazione,
rispettivamente delle Trame e delle Compenetrazioni,
occupa una parentesi temporale brevissima nel
percorso di tutti e due gli artisti. Eppure, nella
prospettiva di una continuità della linea dell’arte
moderna italiana tra avanguardie storiche e pittura
del Secondo dopoguerra, non c’è dubbio che la
contiguità davvero speciale di queste esperienze
rimane davvero un tassello di fondamentale
importanza.
L’allestimento della mostra, progettato da Mario
Botta, sottolinea le differenze e le affinità dei
due linguaggi artistici attraverso un’idea nuova
dello spazio espositivo, ridisegnato proprio per
accogliere e valorizzare al massimo queste opere: i
lavori di Balla saranno sospesi in nicchie bianche,
in uno spazio vuoto che li renderà preziosissimi,
quelli di Dorazio, di grandi dimensioni, saranno
invece presentati su ampie superfici nere, che
permetteranno una efficace fruizione e soprattutto
un rimando percettivo e visivo continuo alle opere
di Balla.
In occasione della mostra verrà pubblicato un
catalogo ampiamente illustrato, edito da
Mousse-Milano, con testi di Gabriella Belli,
Francesco Tedeschi, autore del Catalogo
Ragionato di Piero Dorazio, e Riccardo Passoni,
direttore della GAM di Torino, dove sono conservati
i fogli più importanti di Giacomo Balla. Completano
il volume ricchissimi apparati critici a cura di
Giulia Arganini (per Giacomo Balla) e
Valentina Sonzogni (per Piero Dorazio).
Un’intervista a Mario Botta espliciterà i
criteri espositivi della mostra.
Il titolo dell’esposizione “Dove la luce” nasce
dalla suggestione di una poesia di Giuseppe
Ungaretti, che si accompagna ai versi contenuti nel
volume La luce. Poesie 1914-1961 (Erker Presse, San
Gallo, 1971) illustrato da tredici litografie a
colori di Piero Dorazio nel 1971. Com’è noto il
Poeta fu amico di Dorazio, ma anche grande
ammiratore di Balla, al quale, nel 1968, dedicò
l’introduzione al volume di Virginia Dortch Dorazio
(moglie di Piero) Balla Futurista. An Album of His
Life and Work, tributando proprio alle sue ricerche
sulla luce tutto l’afflato della sua altissima prosa
critica.
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Giovedì - domenica: 11:00 – 18:00
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