Sala 1. Il prologo
La mostra si apre con uno sguardo rivolto alla scuderia di artisti
della galleria Grubicy. Troviamo qui le opere di Tranquillo Cremona
con Pensierosa (1872-1873), Daniele Ranzoni con Il bambino Morisetti
(1885), Giuseppe Pellizza da Volpedo con Le ciliegie (1888-1889),
Angelo Morbelli con La partita alle bocce (1885), Gaetano Previati
con Le fumatrici di hashish (1887), Emilio Longoni con Le capinere
(1883), Vittore Grubicy, Giovanni Segantini con La portatrice
d’acqua (1886) e Dopo il temporale (1883-1885). Quest’ultimo
dipinto, uno dei capolavori del periodo brianteo, è prevalentemente
uno studio di luce, attraverso il quale prende vita un momento nel
quotidiano della pastorizia. Non ancora divisionista, il dipinto è
giocato su ricchi toni di argentei, verdi e giallo modulati sulla
tela in impasti fluidi di vario spessore che suggeriscono lo
squarcio di luce che irrompe tra i nuvoloni, l’umidità del terreno,
la lana bagnata delle pecore, l’effetto del vento sui i
protagonisti.
Sala 2. La I Triennale
di Brera. Uscita ufficiale del Divisionismo italiano
La seconda sezione è dedicata alla I Triennale di Brera tenutasi a
Milano nel 1891, ricordata come “uscita ufficiale del Divisionismo
in Italia” in cui furono presentati esempi emblematici di pittura
divisa, realizzati dai principali esponenti del gruppo: Segantini,
Morbelli, Pellizza, Previati, Longoni e Giovanni Sottocornola. Lo
stesso Vittore Grubicy, obbligato ad abbandonare nel frattempo la
gestione della galleria, presentava paesaggi di transizione, mentre
Pellizza e Sottocornola vi si sarebbero avvicinati di lì a poco.
A pianoterra si potrà ammirare la grandiosa e magnifica Maternità
(1890-1891) di Previati di proprietà del Banco BPM che ritorna nel
capoluogo piemontese dove non è mai stata esposta e che, proprio per
l’eccezionalità del prestito, si potrà ammirare con ingresso
gratuito. L’opera è frutto di due anni di sperimentazione pittorica
ed è una reinterpretazione in chiave laica del tema rinascimentale
della Madonna col bambino circondata dagli angeli. Ispirato
all’artista dal concepimento del primo figlio, il dipinto propone
l’eterea visione della prima madre che allatta il suo bambino,
appoggiata ad un melarancio spoglio in un giardino dalle folte erbe.
Pennellate di colori puri, a pioviscolo nel cielo e a lunghi
filamenti flessuosi che disegnano le forme, traducono uno stato di
meraviglia tra realtà e sogno. Quel felice connubio tra Divisionismo
e Simbolismo fece sì che Maternità fosse l’opera più controversa e
derisa della I Triennale di Brera. Si parlò addirittura di “eclisse
di genialità”. La novità della tecnica che veicola un innegabile
misticismo suscitò l’accanimento della critica non ancora pronta ad
accettarne né simbolismo né modernità pittorica.
Al primo piano troviamo esposte alcune tra le opere più celebri
presentate a quella Triennale, lavori già divisionisti, oppure
appartenenti ad artisti che a breve avrebbero sperimentato questa
nuova tecnica: Vacca bagnata (1890) di Segantini, Un consiglio del
nonno – Parlatorio del luogo Pio Trivulzio (1891) di Morbelli, Bosco
(1887-1891-1912) di Grubicy, Il mediatore (1891) di Pellizza da
Volpedo e Fuori di porta (1891) di Sottocornola, L’oratore dello
sciopero (1890-1891) di Longoni. Questo dipinto, uno dei “manifesti”
del divisionismo, si contraddistingue, grazie al taglio fotografico,
per la sua audace composizione di straordinaria ampiezza. Il crudo
realismo del cromatismo del disegno rivela una volontà di fare della
pittura uno strumento di militanza politica. Come Nomellini, Longoni
fu recettivo alle idee anarchiche e socialiste che lo condussero a
fare della rivolta dell’operaio cittadino, soggetto non considerato
dalla pittura contemporanea in Italia, il fulcro del suo operato.
Tramite la tecnica, non ancora rigorosa nella divisione del tono,
dalla pennellata espressiva e dal colore acceso, il dipinto proclama
una ineluttabile corrispondenza tra tematica e linguaggio pittorico.
Sala
3. L’affermarsi del divisionismo
Nella terza sezione, incentrata sul trionfo del Divisionismo e i
suoi principali interpreti, trovano spazio capolavori come All’ovile
(1892) di Segantini, dipinto da tempo assente dalla scena
espositiva, Fontanalba (1904-1906) di Fornara, Riflessioni di un
affamato (1894) di Longoni, La Diana del lavoro (1893) di Nomellini,
Sogno e realtà (1905) di Morbelli proveniente dalla Fondazione
Cariplo, Gallerie d’Italia. Accanto ad essi altre pregevoli opere di
Fornara, Longoni, Nomellini, Grubicy e Sottocornola.
All’ovile di Segantini fa parte di un ciclo di tre opere dedicate
agli effetti della luce di una lanterna in un ambiente buio. Queste
tele traspongono in un linguaggio sperimentale moderno gli stilemi
della tradizione luminista seicentesca, da Caravaggio a Le Nain
senza dimenticare i Fiamminghi o gli effetti luministi delle
acqueforti di Rembrandt, che Segantini ben conosceva. Il soggetto
riprende il parallelo tra l’essere umano e l’animale, la maternità
come fatto naturale che unisce le creature bisognose di luce,
tenerezza e caldo. Segantini aggiunge in questa opera oro in polvere
e in particelle incorporate ad impasto fresco in modo di accentrare
la luce ambientale sul dipinto per creare un suggestivo luccichio
che fa ulteriormente vibrare la luce. Come sempre in Segantini
colpisce una profonda capacità di suggerire l’essenza delle cose, la
loro fisicità: tutto prende vita persino il tepore.
Fontanalba di Fornara è il capolavoro che conclude il ciclo dedicato
all’alpeggio estivo della valle Vigezzo, detto “in sui” dove il
pittore trascorse le estati dal 1903 al 1905. Punta “Fontanalba” è
la scheggia di uno dei tanti dirupi che dai 2259 metri domina una
zona desolata, di scarsa vegetazione, punteggiata da laghetti.
Iniziato in un momento in cui Fornara aveva finalmente superato
l’immenso dolore della scomparsa nel 1899 di Segantini, del quale
era stato l’assistente a Maloja, il dipinto fu ultimato nello studio
nella natia Prestinone, usando materiale previamente elaborato in
luogo: disegni, fotografi, e studi ad olio. Fontanalba dimostra come
adoperando elementi della tecnica segantiniana, Fornara ambisse a
dare volto alla sua valle, sottolineandone l’intrinseca diversità
dall’Engadina ispiratrice del maestro. Alzando la linea
dell’orizzonte e ribaltando il profilo della catena di montagna,
Fornara dà presenza al cielo sconfinato e al lago creando uno spazio
pittorico di trasparenza e riverberi, ancora più sottolineato dal
realismo del primo piano, minuto nella sua resa divisionista, con i
sassi, i rododendri in fiore, la mucca e il vitello. Natura
trasfigurata che dimostra come Fornara avesse assimilato la lezione
di Segantini, pur senza essere schiavo della sua visione.
Nel celeberrimo dipinto di Longoni, Riflessioni di un affamato
colpisce la maturazione della tecnica divisionista, una tessitura
raffinatissima di segni senza spessore che catturano la luce bianca
di un giorno nevoso e i suoi riflessi. Il taglio compositivo è da
illustrazione, ma la voluta freddezza del linguaggio coloristico
esprime senza cadere nel pathos l’estraneità del ragazzo, l’affamato
infreddolito che guarda con dolorosa curiosità la copia benestante a
tavola, al caldo. Il dipinto traduce con forza la diseguaglianza
sociale in una città in cui i poveri aumentano esponenzialmente in
funzione dell’arricchimento dei pochi.
Sala 4. Pellizza da
Volpedo. Tecnica e simbolo
La quarta sala è interamente dedicata a Pellizza da Volpedo, con
cinque opere fondamentali nel percorso dell’artista: Il ponte
(1893-1894), Il roveto (Tramonto), (1900-1903), La processione
(1893-1895), Sul fienile (1893-1894) e Nubi di sera sul Curone
(1905-1906).
Il ponte è un vero gioiellino: considerato primo dipinto pienamente
divisionista di Pellizza, non era stato più visto dopo la storica
mostra del Divisionismo italiano a Trento nel 1990, ed è riapparso a
Milano nel 2012 in una piccola mostra presso la GAM Manzoni. Nel
1892, data presunta dell’opera, Pellizza studiava i trattati
dell’ottica da circa due anni, influenzato sia dagli scritti di
divulgazione di Grubicy che dall’incontro con Nomellini a Genova. Le
indagini riflettografiche hanno appurato che Pellizza parte da una
stesura bianca a basi di piombo preconizzata da Seurat, alla cui
tela “La grande Jatte” fa riferimento. In realtà non siamo in
presenza di un uso sistematico dei puntini; anche se vengono usati,
sono bilanciati da filamenti di colori lunghi e corti, più raramente
circolari come nelle nubi del cielo. L’opera è composta a partire di
forme geometriche all’interno delle quali i colori complementari
diventano elemento vibratile e si scagliano sullo sfondo bianco
facendo emergere la luce anche dal gioco grafico.
Sul Fienile viene ideato nell’estate 1892, osservando di fronte allo
studio il fienile di casa in ombra mentre al di là di quella
struttura rettangolare si dipanava la campagna rutilante di luce,
Pellizza ebbe l’idea della fine di una vita contrastante con lo
scenario della natura. Diventò così il dipinto che ritrae un
operario agricolo senza dimora o famiglia, che si ritrova a finire i
suoi giorni sul giaciglio di paglia del fienile. Si tratta di una
delle opere più commoventi dell’artista, meditazione sulla morte
senza sovraccarico ideologico. Le figure in controluce che
amministrano gli ultimi conforti al moribondo dallo sguardo già
assente, sono rese in una minuta tessitura di scuri e chiari con
filamenti di colori complementari. Dietro di loro, mentre si consuma
il dramma umano, nel rettangolo portante del porticato, il verde
della vegetazione in tocchi più piccoli e precisi e le geometrie
delle case, zone di luce e di ombre contrastanti, riaffermano la
continuità della vita. Il connubio tra la raffinatezza della
tecnica, un divisionismo spinto all’estremo del rigore e la sobrietà
nella resa dell’idea - la morte come momento ultimo della vicenda
umana, e l’infinito rinascere della natura e dell’operato umano,
immanenza e trascendenza - fa sì che l’opera sia uno degli esiti
maggiori del simbolismo di Pellizza ed europeo.
Sala
5. Il colore della neve
La quinta sezione propone un focus sul tema della neve, con opere di
Segantini – il celebre Savognino sotto la neve (1890), Fornara - con
il magnifico Vespero d’inverno (1912-1914) che sarà restaurato per
la mostra, Cesare Maggi, Morbelli, Matteo Olivero, Pellizza e
Tominetti.
Savognino sotto la neve di Segantini non è stato più esposto dal
1970, quando figurò alla esposizione che la Royal Accademy di Londra
dedicò al Neo-Impressionismo europeo e alla celeberrima mostra della
Società Permanente di Milano dedicata al Divisionismo Italiano. Dal
collezionista Luigi Dell’Acqua, industriale tessile milanese al
quale l’artista lo aveva regalato, passa ai suoi eredi e, dopo varie
vicende, all’attuale proprietario. Eppure, malgrado la visione ne
fosse stata preclusa al grande pubblico, è un’opera che ha fatto
versare molto inchiostro. Non a caso esistono alcuni falsi. È un
unicum nella produzione di Segantini: rarissimi sono i paesaggi
puri, e inoltre questo ha un che di espressionista non riscontrabile
altrove nel corpus dell’artista. Il connubio tra materia, cromatismo
e gestualità conferisce al dipinto una forte valenza emotiva.
Segantini parlava della neve come morte di tutte le cose ed è
proprio il sentimento che permea la tela.
Lo splendido La neve. Crepuscolo invernale (1906) è uno dei paesaggi
più lirici di Pellizza, tra gli ultimi realizzati dall’artista. La
veduta in cui la neve si carica di tutte sfumature del prisma è
articolata su una composizione serrata. Un ruscello tra due chiuse,
un ponticello vagamente giapponese e la vasta distesa dei colli che
l’assenza del cielo rende ancora più infinita, sono gli elementi
portanti dell’immagine e sembrano racchiudere la dolcezza della luce
crepuscolare. Pellizza non lascia nulla al caso. Persino la figura
della donna che corre e i gelsi brulli dalle forme contorte, sono
stati inseriti per rompere il rigore geometrico. Il 14 giugno 1907,
non reggendo al colpo della morte della moglie e del figlio neonato,
il pittore si sarebbe impiccato nel suo studio. Il dipinto che vi
era rimasto, sarebbe stato esposto, per la prima volta, alla mostra
postuma organizzata da Ugo Ojetti e Morbelli alla Biennale di
Venezia del 1909.
Sala
6 – Previati Verso il sogno
Nel corridoio di accesso il magnifico e grandioso Migrazione in Val
Padana (1916-1917) di Previati introduce altre quattro splendide
opere dell’artista tra cui le tre Marie ai piedi della croce (1888),
mai più visto dal 1920, il magnifico trittico Sacra famiglia (1902)
e Il vento o Fantasia (1908) prestato dal Vittoriale degli Italiani
di Gardone Riviera. Il dipinto Migrazione in Val Padana, proveniente
dalla collezione del figlio Alberto Previati è giunto verso la metà
degli anni Trenta del Novecento presso la collezione privata Enel di
Genova – Distretto Liguria che tuttora lo conserva. L’ultima uscita
dell’opera è avvenuta in occasione della mostra antologica “Gaetano
Previati (1852 – 1920)” presso Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel
1969. Il magistrale trittico,
la cui configurazione come un fregio in sequenza è pervasa da una
luce visionaria e ne demarca la sua natura onirica e simbolista, si
mostra dunque al pubblico dopo un’assenza di cinquant’anni. Il
dipinto rievoca i tramonti autunnali della campagna e del paesaggio
ferrarese, come un ritorno all’infanzia, alla propria terra, una
“migrazione” spazio-temporale verso il passato per uno sguardo oltre
il visibile, “l’eterna peregrinazione dell’umanità che va lentamente
verso la luce della perfezione”.
Sala
7 – Segantini. Il gioco dei grigi
Nella sesta sala protagonisti sono sette magnifici disegni di
Segantini, dove la superba tecnica dell’artista emerge in tutta la
sua potenza.
Tra essi svettano Ave Maria sui Monti (1890), Vacca bianca
all’abbeveratoio (1890) Rododendro (1898), che riappare in pubblico
dopo più di un secolo, e La natura, disegno di presentazione (1898).
Quest’ultimo è un monumentale foglio, di straordinaria raffinatezza
grafica. Assoluto capolavoro del disegno simbolista di fine secolo,
non è uno studio per il dipinto centrale del Trittico della Natura
(Museo Segantini, Saint Moritz) bensì un disegno di presentazione
che lo riprende particolare per particolare, traducendone il
cromatismo e la materia in sfumature di grigio, neri e biancastri,
giocati contro il giallo/marrone della carta grezza in infinite
variazioni di tratti. Il disegno mantiene le stesse proporzioni e
traduce la strabiliante monumentalità dell’opera ad olio, che fece
poi parte, con i due pannelli laterali La Vita e La Morte del
Trittico della Natura esposto all’Esposizione Universale di Parigi
del 1900. La loro presenza in mostra illustra la funzione che queste
opere su carta, eseguite in casa, durante le lunghe serate o
giornate rigide in cui non era possibile lavorare all’aperto,
assumevano per Segantini. Declinate in un’infinite varietà di
tecnica - carboncino, gessi, matite dure colorate, pastelli,
inchiostro, acquerello, tempera, anche sovrapposti - andavano a
colmare il vuoto di olii già venduti divenendo a loro volta un vero
e proprio laboratorio figurale.
Sala 8 – Il nuovo
secolo. Gli sviluppi del divisionismo
Chiude l’esposizione una sezione su l’evoluzione del Divisionismo
nei primi decenni del Novecento con imponenti opere dei principali
interpreti: Primavera della vita (1906) e Sorriso del lago (1914) di
Longoni, Alba domenicale (1915) e Meditazione (1913) di Morbelli,
Baci di sole (1908) e Sole e brina (1905-1910) di Nomellini, Ora
radiosa (1924-1925) di Fornara, cui si aggiungono tele di
divisionisti meno noti e legati al territorio lombardo-piemontese
quali Angelo Barabino, Carlo Cressini, Cesare Maggi, Filiberto
Minozzi e Matteo Olivero.
La grande tela Baci di sole di Nomellini, è un inno alla gioia di
vivere. Protagonisti sono la moglie e il bambino Vittorio, loro
figlio, ritratto nudo con una tenerezza sensuale. L’atmosfera, la
luce, la rigogliosa vegetazione, tutto evoca questo particolarissimo
paesaggio d’estate che l’artista rende in tocchi leggeri. In questa
sua ricerca delle chiazze di luce riflesse, Nomellini cita e traduce
in un linguaggio decisamente novecentista il miglior Renoir del
Déjeuner des Canotiers (1882) o il Monet dell’inizio degli anni di
Giverny, nella prima metà degli anni 80. Siamo lontani sia dai
pointillistes francesi che dai contemporanei Pellizza o Morbelli. È
una pittura che si affida al colore come cromatismo, luce e
trascrizione dei piani, anche se lo scopo, è di esprimere un senso
panico della natura nella più pura valenza dannunziana.

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Ultimo
aggiornamento:
13-10-22
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