Francesco Speranza: pittore della luce, nei paesaggi d'incanto, senza tempo.

 

di Manlio Chieppa


 
C'è qualcosa di fatalmente imponderabile che accomuna luoghi e circostanze della vita, ad unire affetti e sentimenti. Talmente forti, da portare a concludere intrecciate affettuose esistenze - negli stessi ambienti e giorni - a distanza di decenni. Si spegneva nella sua “dimora estiva” di S. Spirito il 2 agosto del 1984, il Maestro Francesco Speranza, illustre esponente dell'Arte Figurativa del Novecento.

Bitontino di nascita (1902) e residente a Milano sin dagli Anni '20. Ma “pugliese”, orgogliosamente rappresentato ovunque, dagli incantevoli assolati suoi “paesaggi”: essenzialmente della sua città antica con i tanti pittoreschi vicoli e poi della marina di S.Spirito, le svariate contrade e i luoghi dove il tempo si era fermato. Poetici scorci, nelle lunghe estati; a segnare i suoi annuali “ritorni” stagionali, dalle nebbie della città Ambrosiana, in cui aveva trovato accoglienza, amicizie, affermazioni e devozioni, nel circolo di discorsi artistici e intellettuali di largo respiro europeo, ma poche ispirazioni. In quelle stesse stanze della sua casetta, nella ridente cittadina balneare, si è invece accomiatata, tre estati fa (luglio 2017), alla soglia dei 91 anni, la vedova Marina Bagassi, sua sposa dal 1957. Giunta puntuale, come ogni primavera, a ritrovare e rivivere quei tanti ricordi, dove aleggiavano sensazioni d'incanto (vissuti ogniqualvolta mi ci recassi, con grande festa e tante novità da raccontarci). Accolto sempre come uno di famiglia, anche quando rimasta sola, intenta a conservare con l'amicizia, le testimonianze più pure e coinvolgenti, per tenere desta la memoria del suo Francesco. Con l'organizzare instancabile, manifestazioni e mostre per l'Italia e l'amata Bitonto, in quei circuiti che avevano esposto quelle tante opere. Frutto d'insistenti iniziali osservazioni in plein air (dove ebbi il privilegio e l'avventura di conoscerlo, nell'estate del 1970, in un campo (allora) dinanzi Casa Mastrolonardo, sulla stradina del Titolo, spartiacque tra S.Spirito e Palese che conduce dalla Nazionale al mare)*, con un cappello di paglia a proteggerlo dal sole, assiso su di un seggiolino, intento a buttare giù schizzi sul suo inseparabile ''block notes'', in un reticolo di segni a penna biro, e scritti minuziosi a margine, con le sue impressioni descrittive ambientali sui colori e le ombre, che vedeva al momento, sotto il sole meridiano di Puglia. Abbozzi che avrebbe poi tradotto su cartone telato al cavalletto, in una tecnica antica di tempera grassa, dipingendo fra l'angolo ricavato nella sua dimora estiva e il suo studio meneghino in via Gran Sasso. Accompagnato immancabilmente da per dove dalla “sua” Marina, custode delle sue stesse visioni e fugaci considerazioni, che correvano coi pensieri nei suoi “candidi” sguardi. Ovunque si spostasse, onnipresente, come nella sua quotidianità, a spronarlo - inizialmente modella privilegiata per una serie di ritratti, poi primo critico inflessibile ed ascoltato - su ogni opera che andava ri-costruendo, in una fantasmagoria di colori, dagli insistenti cieli tersi d'azzurro, in una pace e una gioia diffusa.

Dipinto di Francesco Speranza: 'sott' a l pagghiar?

In coincidenza di quelle ricorrenze e nella continuità dei lieti annuali incontri - ricordo e credo sia sta l'ultima manifestazione, nel luglio del 2018 - quando Nicola Pice, presidente del Museo Archeologico - Fondazione De Palo-Ungaro di Bitonto, intellettuale e storico illustre (è stato fra i più illuminati Sindaci della città, stimato da artisti e dal popolo colto delle Arti e i Beni Culturali!), ha voluto onorarne la memoria. Esponendo documenti d'archivio del “Fondo Speranza” e testimonianze degli Eredi: la figliola di Marina, Dorina Tognoli residente a Milano (cui si devono scritti inediti e donazioni di opere) e di alcuni nipoti del Maestro, prestatori alla bisogna, allestì due stanze del Museo con i “ritratti” di Famiglia dell'indimenticato Maestro: “Mia madre” (1930)**, “Mia sorella Annina” (1929), “Mio padre” (1930), oltre tre ritratti e due “Autoritratti” (1924 e 1958), qualche altro dipinto e disegni. Emblematici della ricerca intorno a quel suo realismo poetico, di derivazione quattrocentesca, nella pacata osservazione e ambientazione delle figure, ritratte inizialmente, negli Anni '20, in uno studio di sapiente espressionismo pittorico; per poi ripiegare in un intimismo fortemente connotato al suo credo francescano, con una fervente simbologia, che si coglieva in piccoli particolari. Nella serenità di uno spirito votato ad una missione, di raccontare, oltre che nei soggetti sacri, la “bellezza” del Creato. Sintesi convinta del suo modo di vedere, pensare, lavorare e gioire - contemplando nella letizia - tutto quello che lo circondava con l'occhio dell'incanto, per raffigurarlo in un trionfo di colori, nell'abbaglio di luce radiosa. Ad illuminare il mondo ludico del ricordo dell'infanzia, vissuta fra i vicoli antichi della sua Bitonto. Che ritrovava per ogni luogo, in una dimensione straordinariamente atemporale, nella magia dell'armonia, della musicalità, in immagini suggestive: le case dalle facciate iridescenti, i tetti, le scalette, i balconcini infioriti, le finestrelle, i campanili, le cattedrali e le chiesette, le piazzette e il mare, i gabbiotti e le vele, il porticciolo con gli aquiloni... sotto cieli di cobalto, quasi sempre con un fiocco di nuvola e una luna mattutina a tutto tondo, o falce nascente. Un mondo fantastico che si è dissolto in un inarrestabile crepuscolo, e l'uomo non ritrova più la sua dimensione, di umana convivenza nella bellezza dei valori; estraneo agli altri e a sé stesso. Nell'aridità diffusa, Francesco, il Maestro, oggi, perdendo il senso della serenità ancestrale, si sarebbe smarrito, estraniandosi. E bene agisce il prof. Pice, solitario, nella sua ''mission'', a rinverdirne il ricordo ad una società sempre più distratta dall'esibizionismo frastornante dell'improvvisazione, dell'effimero e dell'insulto, alimentati dall'indifferenza delle pubbliche amministrazioni, che preda del clientelismo avvolgente, incentivano la disaffezione e l'ignoranza della storia!

*Io soggiornavo lì a due passi, alla Castelluccia, il villino residenza del mio antenato arch. Luigi Castellucci. Ci rivedemmo nell'inverno del '72 a Milano, ospite di riguardo, all'inaugurazione della mia prima “personale” nella omonima Galleria di Mino Pater, in via Borgonuovo, 10. Oltre Marina, i critici Mario Portalupi, Enotrio Mastrolonardo, Giorgio Kaisserlian, Carlo Munari, Mario Lepore, il poeta conterraneo Raffaele Carrieri (dimorante in quello stesso stabile), ... e poi nelle stesse mostre per l'Italia e ancora a Milano nel gennaio del '76 ritirando io il Premio Sant'Ambroeus con l'Ambrogino (Archivio Luce, Caleiodoscopico ciak) e via via per comuni galleristi...; a Bari dei Bellomo della prestigiosa Arte Spazio...

**Il dipinto patrimonio del Comune, lo ricordo esposto nella Galleria Civica al Torrione Angioino, assieme a due mie opere donate, su invito del coordinatore, indimenticato amico e collega Matteo Masiello; in seguito ritirate mio malgrado, seguendo il suo esempio, a contestare la prolungata precarietà di condizione espositiva: con la permanente chiusura pubblica e l'uso dissacrante e promiscuo degli ambienti! Imperdonabile, e credo a tutt'oggi, perseverante sciatteria!
 

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Ultimo aggiornamento:  25-10-24