Fondano
o contribuiscono a fondare generi – la metafisica, il futurismo –,
innovano le avanguardie, conoscono e si scontrano con Picasso,
Matisse, Braque, Soutine, Utrillo e sua madre Suzanne Valadon. E nei
café bevono assenzio con un ebreo livornese, Amedeo Modigliani.
Da Montmartre gli artisti si spostano a Montparnasse, dove cenano alla
Closerie des Lilas con i poeti: Guillaume Apollinaire, anche lui
apolide, che gira in frac e parla cinque lingue; Paul Fort, che
passeggia con un papero al guinzaglio; Max Jacob, che declama
versi ed è succube della virilità di Picasso. Insieme a loro ci sono
altri “metechi”: Chagall, Brâncuși, Miró, Dalí, Juan Gris, Diego
Rivera e Frida Kahlo; i dadaisti di Tristan Tzara, più tardi
i surrealisti di André Breton. E nel 1919 arriva la giovane
Antonietta Raphaël, nella città dove domina Joséphine Baker
ed esordisce Édith Piaf.
Sono gli anni in cui nasce la pittura moderna. Pare che le energie del
secolo che chiuderà il millennio si siano concentrate nel cuore dell’Île-de-France,
come i poteri magici all’epoca dei templari. Artisti, poeti, scrittori e
musicisti inventano nuove espressioni, smontano linee, mescolano colori,
suoni, mutano pelle e sostanza alla realtà così come era stata pensata e
rappresentata fino a quel momento. Una rivoluzione culturale dentro a
quella sociale e industriale, in anticipo su quella politica.
È la vigilia di una guerra che farà crollare tre imperi secolari: quello
austroungarico, quello ottomano, quello zarista; la carta geografica
dell’Europa e del Mediterraneo sarà sconvolta, mentre in Russia il
potere passerà ai Soviet. Anche i confini dell’uomo e della fisica
vengono rivoluzionati come mai prima, con la scoperta dell’inconscio e
dell’atomo, dell’energia rimossa o nascosta dentro di noi e al cuore di
ogni cosa.
Il 5 febbraio 1912 alla Galerie Bernheim-Jeune inaugura la prima
esposizione futurista, che desta sensazione e polemiche destinate a
durare nel tempo: meglio il futurismo o il cubismo? Gli italiani o i
francesi? Marinetti, Severini, Boccioni, oppure Braque, Delaunay,
Picasso (che a Parigi finiranno per considerare “dei loro”)? È una
vicenda in cui i francesi sono usciti vincitori: più abili anche
nell’intercettare la bellezza e la novità e nell’esaltarla, maestri
nell’accogliere e “francesizzare” espressioni provenienti da altre
culture. Ma il futurismo e quel che verrà dopo – la metafisica, il
recupero della classicità – è vivo. Anche oggi, a cent’anni di distanza,
conferma la sua forza, il suo potere evocativo, la sua capacità di
parlare all’uomo di ogni tempo. Ed è una storia che comincia a Parigi,
grazie al talento e alla sensibilità di un gruppo di italiani.
dall'introduzione del libro
Rachele
Ferrario insegna Fenomenologia delle arti all’Accademia di Belle
Arti di Milano. Collaboratrice del “Corriere della Sera”, cura e
organizza mostre dal 1998. Dirige l’archivio René Paresce, di cui ha
redatto il catalogo generale e la biografia Lo scrittore che dipinse
l’atomo. Vita di René Paresce da Palermo a Parigi. Tra i suoi ultimi
libri: Regina di quadri. Vita e passioni di Palma Bucarelli (2010), Le
signore dell’arte. Quattro artiste italiane che hanno cambiato il mondo
(2012), Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista
(2015).
|